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Dott. Piernicola Dimopoulos

Medico Chirurgo

Specialista in Ortopedia e Traumatologia

La protesi di ginocchio dolorosa

 

 “Il ginocchio è ancora gonfio, dolorante, non flette come vorrei, non estende completamente, non mi sento sicuro, mi sento la protesi… Cosa è accaduto? Perché la mia protesi del ginocchio non ha funzionato?”

 

La domanda che stila il resoconto è più frequente di quanto si pensi. 

 

La multifattorialità di condizioni in grado di determinare il risultato finale è notevole. Vediamo di saperne di più. Tre ordini di fattori possono condizionare l’esito di una protesi di ginocchio: la tecnica chirurgica e fattori meccanici, il decorso post-operatorio, fattori inerenti al paziente.

 

Già dal primo punto vedremo come la letteratura internazionale non sempre riesca ad individuare dei “gold Standard” ovvero delle condizioni che dovrebbero essere assolutamente rispettate perché riconosciute nella loro validità. Ricordiamo che il ginocchio protesizzato risponde a regole di biomeccanica e cinematica sue proprie nella necessità di integrarsi in un corpo umano dove fino a quel momento alloggiava un ginocchio “nativo”, seppure malato: così anche l’assunto storico di un perfetto allineamento con fedele ripristino dell’asse meccanico dell’arto inferiore,  è stato in tempi relativamente recenti posto in discussione, con risultati estremamente positivi nell’assecondare l’asse costituzionale dell’arto operato, con una lieve ipocorrezione residua che secondo i fautori di tale orientamento, preserverebbe la funzione di un ginocchio, meglio dire di un arto, nato così e che così ha lavorato per decenni.

 

La discussione è aperta per capire se, come, quanto e quando sia auspicabile propendere verso un orientamento piuttosto che per l’altro. È questo solo un esempio delle numerose problematiche tridimensionali che il chirurgo deve affrontare nel pianificare ed eseguire l’intervento. Infatti, ogni gesto dovrà essere concepito in chiave dinamica e quindi con un’ottica di angolazione, rotazione ed interazione; non dimentichiamo infatti che il ginocchio può essere suddiviso dal punto di vista biomeccanico e cinematico in tre compartimenti di cui i primi due, interno ed esterno, riguardano in rapporti fra tibia e femore, il terzo, una vera e propria articolazione nell’articolazione, i rapporti tra rotula e femore. Ogni gesto compiuto nel regolamentare i rapporti reciproci tra femore e tibia, infatti, avrà inevitabili ripercussioni tra rotula e femore, e viceversa.

 

La gestione di tale complessità pone tre aspetti fondamentali della correzione: statico-biomeccanico, ossia il rispetto di forze che male gestite porterebbero alla mobilizzazione della protesi dall’osso; cinematico, rappresentato dall’esigenza che il nostro costrutto biomeccanicamente bilanciato, funzioni nella complessità del movimento e delle azioni proprie dell’articolazione; funzionale, ossia l’esigenza che pur nella corretta biomeccanica e cinematica, la nostra protesi venga opportunamente “pilotata” dall’azione del paziente, con riferimento alla corretta esecuzione dei movimenti, alla buona forza esercitata con un corretto equilibrio tra muscoli agonisti ed antagonisti, con i giusti tempi d’intervento in ogni momento dell’azione ( propriocezione ), etc.

 

Tutte attitudini che il paziente dovrà ripristinare nel percorso pre, per quanto possibile, e post operatorio, con un idoneo programma riabilitativo. L’esempio che meglio dimostra l’importanza di quest’ultimo aspetto è ben rappresentato dal dolore al ginocchio nelle ragazze adolescenti che spesso, per uno squilibrio tra la lunghezza delle leve (per rapido accrescimento), muscoli, e propriocezione (si, sempre lei), sviluppano sindromi estremamente dolorose ed invalidanti in assenza di qualunque danno articolare. Abbiamo ben visto quindi come i fattori meccanici (operatori) e relativi al percorso post operatorio rappresentino un mondo ricco di variabili, senza entrare in merito ad interazioni complesse come quelle relative a condizioni sovra e sottosegmentarie (assetto del piede e della caviglia, dell’anca). Rimangono i fattori relativi al paziente, personali, soggettivi, variegati, non sempre prevedibili.

 

Il ginocchio, infatti, è un’articolazione complessa, superficiale, ben visibile. Sono queste caratteristiche che la rendono particolarmente vulnerabile sul piano della focalizzazione somatica e, conseguentemente del dolore e della funzione. Uno stato ansioso, una condizione di depressione, anche latente, può infatti sfociare in un “empasse” nel percorso post chirurgico, non meno importante dell’intervento. Infatti, una bassa soglia del dolore ed un’eccessiva apprensione di fronte alla propria condizione, possono invalidare ogni tentativo di condurre il ginocchio protesizzato verso la guarigione. Può innescarsi un “corto circuito” in grado di portare attraverso ad una prolungata immobilità di fatto, ad una vera e propria “Esclusione” del cervello dalla funzione motoria ( Brain exclusion: condizione nella quale anche alla volontà di compiere un movimento non corrisponde alcuna attivazione dell’area encefalica deputata alla sua realizzazione). 

 

Pazienti spesso anche di giovane età, specialmente se obesi, di sesso femminile, sono risultati particolarmente vulnerabili dal punto di vista psichico. Tale elemento è tutt’altro che trascurabile nel condizionare il risultato finale, tanto è che si stanno redigendo delle schede di valutazione del paziente candidato all’intervento, per aiutare sia il chirurgo che il paziente a capire se ci si trovi in una condizione a rischio.

 

Abbiamo quindi ben visto che pure al di fuori delle complicanze maggiori rappresentate dall’infezione, dalla trombosi venosa profonda, dalla mobilizzazione precoce, pure possibili e non eliminabili seppure relegate ad una minoranza dei casi, la protesi di ginocchio può dare un risultato finale non pienamente soddisfacente. La letteratura internazionale fornisce percentuali che arrivano al 21% con punte del 24% nei pazienti under 65, e questo probabilmente anche per una disattesa soddisfazione delle proprie aspettative. Ne deriva la necessità di un’ottimale preparazione del paziente candidato a tale complessa chirurgia affinchè accetti e condivida col suo Chirurgo un percorso lungo ed impegnativo che lo vedrà protagonista, nella piena consapevolezza all’interno di realistiche aspettative.  

Dott. Piernicola Dimopoulos
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