MEDICO CHIRURGO-SPECIALISTA IN ORTOPEDIA E TRAUMATOLOGIA

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Dott. Piernicola Dimopoulos
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Medico chirurgo specialista in ortopedia e traumatologia
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 ATTIVITA CHIRURGICA

  • Sindrome del tunnel carpale
  • Dito a scatto
  • Malattia di De Quervaine malattia di Dupuytre
  • Rizoartrosi
  • Correzione Dell’Alluce Valgo E Delle Patologie Dell’ Avampiede
  • Correzione Del Retropiede Dell’eta’ Evolutiva (Piede Cavo E Piede Valgo)

PATOLOGIE TRATTATE

La coxartrosi ( artrosi dell’anca ) può essere primitiva, senza cause apparenti, o secondaria ad una miriade di condizioni come  Malformazioni, Patologia dell’età evolutiva, Patologia infiammatoria a genesi immunitaria, Osteonecrosi, Esiti traumatici.

 Può essere precoce, anche in età giovanile, o manifestarsi in età avanzata. 

Benchè, come spesso accade, la genetica ci metta del suo, l’essenza patogenetica dell’artrosi dell’anca risiede nella maggiore parte dei casi in un’alterazione dei rapporti spaziali morfo-volumetrici tra la coppa acetabolare e la testa del femore, che lavorando con una difettosa congruenza, determineranno la progressiva usura della cartilagine articolare. 

Talvolta i sintomi sono precoci, con dolore, limitazione funzionale e zoppia; altre volte la lunga storia clinica si arricchisce di “tendiniti”, “pubalgia”, “sciatica”, variamente trattate con scarsi risultati. Talvolta il paziente può condurre una vita assolutamente normale per numerosi anni, iniziando ad accusare i primi sintomi in età avanzata. In alcuni casi i sintomi risultano invalidanti fin dall’esordio della patologia rendendo necessario il trattamento precoce.

L’artrosi del ginocchio può interessare uno o più compartimenti articolari ( interno, esterno femoro-rotuleo ); può essere dovuta a vari fattori ( meccanici, traumatici, chirurgici, infiammatori, dismetabolici ), può manifestarsi a vari livelli con diversi gradi di usura delle componenti articolari ( principalmente cartilagine e menischi ). 

Ne deriva un’estrema variabilità di combinazioni alle quali corrispondono altrettante opzioni terapeutiche, dalle più conservative (Controllo del peso corporeo, Fisioterapia, Condroprotettori, Infiltrazioni con acido jaluronico ), passando attraverso tecniche chirurgiche poco invasive ( artroscopia ) verso tecniche più invasive ( osteotomia ), fino alla sostituzione protesica mono, bi o tricompartimentale. 

In questo percorso possono trovare indicazione nelle fasi precoci secondo rigorosi e ristretti criteri di inclusione, le tecniche biologiche di impianto di cellule staminali o mononucleate autologhe o la protesi biologica.

Da tale panorama estremamente variegato di forme, stadi e terapie del processo artrosico deriva l’opportunità di un suo trattamento tempestivo per rallentare la progressione verso stadi a maggiore impatto terapeutico. 

L’artrosi della Spalla

Articolazione che lavora senza sopportare il peso corporeo, ha delle caratteristiche differenti rispetto al ginocchio ed all’anca. Tuttavia essa non risulta meno delicata essendo l’articolazione del corpo umano più mobile, con una congruenza minima tra i capi articolari della testa omerale e della glena scapolare. 

Accanto alle forme primitive e secondarie a malformazioni, traumi, patologia infiammatoria a genesi immunitaria, osteonecrosi, tale distretto è particolarmente penalizzato da condizioni che a causa di un’insufficienza dei sistemi di stabilizzazione attiva ( muscoli, tendini della cuffia dei rotatori ) e passivi ( capsula articolare e legamenti ) possono generare un’alterazione delle forze che agiscono sulla cartilagine che riveste le superfici articolari, favorendone un’usura precoce.

 Si tratta talvolta di forme progressive, come nella cosiddetta artropatia della cuffia dei rotatori, grave degenerazione artrosica con risalita e possibile sublussazione della testa omerale secondaria a rottura della cuffia dei rotatori con perdita del bilanciamento articolare. 

La complessità dei tipi e del grado di artropatia degenerativa, configurano la gamma di opzioni terapeutiche via via indicate, dalla riabilitazione, alla sostituzione protesica. 

I menischi del ginocchio sono costituiti da fibrocartilagine che conferisce loro caratteristiche di elasticità consentendogli di svolgere la loro funzione di ammortizzatori e stabilizzatori. 

Col tempo e l’utilizzo prolungato, il tessuto che li costituisce va incontro ad una progressiva degenerazione con possibilità di fissurarsi, fino a delle vere e proprie rotture. 

Pur riconoscendo l’origine traumatica delle lesioni meniscali, nella maggior parte dei casi l’evento traumatico corrisponde all’inizio dei sintomi ma si sovrappone ad una storia di progressiva degenerazione risalente a tempo prima. 

Non tutte le lesioni meniscali devono essere operate. Contrariamente a quanto comunemente supposto, l’assunto che un menisco “rotto” determini una lesione cartilaginea, non è stato dimostrato dalla Letteratura Internazionale. 

Quindi, altri parametri quali il dolore, la limitazione funzionale, il gonfiore, determineranno l’eventuale indicazione chirurgica che comunque dovrà considerare lo stato della cartilagine articolare onde evitare fenomeni di sovraccarico secondari all’intervento.

  • Lesioni della cartilagine

Rottura del LCA.

La traumatologia della strada e la pratica degli sport agonistici da impatto e di contatto hanno determinato negli ultimi 20 anni un notevole incremento delle rotture del legamento crociato anterioreCome dimostrato in Letteratura, la rottura del LCA innesca un meccanismo che condurrà il ginocchio colpito verso lo sviluppo di un’artrosi precoce, evoluzione che purtroppo non viene evitata dalla ricostruzione, anche se tempestiva, del legamento; questo probabilmente per la combinazione di due fattori: l’innescarsi del meccanismo senza ritorno dell’artrosi fin dal momento del trauma; l’impossibilità di ripristinare la complessità anatomica del legamento nativo.

Dal punto di vista clinico, la conseguenza diretta della rottura del LCA è rappresentata dall’instabilità, evento soggettivo a cui corrisponde una sensazione di scarsa stabilità articolare spesso accompagnata da veri e propri cedimenti articolari in cui il paziente avverte la dislocazione anomala del femore rispetto alla tibia.

Da quanto sopra esposto, deriva che non tutte le rotture del LCA devono essere trattate chirurgicamente. In una parte di questi pazienti, infatti, l’instabilità è o assente o di modesta entità e suscettibile di miglioramento con un idoneo programma riabilitativo.

Nei pazienti in cui tale sintomo ha una rilevanza clinica o in caso di pratica sportiva da impatto o di contatto, o ancora in caso di professioni fisicamente impegnative, l’opzione chirurgica dovrebbe essere considerata per evitare l’insorgere di lesioni associate dei menischi e della cartilagine, facendo precipitare l’articolazione verso un quadro degenerativo ad evolutività esponenziale.

Rotture della cuffia dei rotatori della spalla.

La cuffia dei rotatori della spalla è costituita da una sorta di “manicotto” di tessuto tendineo, espansione dei muscoli sottoscapolare, sopraspinoso e sottospinoso. 

Nell’interspazio compreso tra sottoscapolare e sopraspinoso decorre il tendine del capo lungo del bicipite che dall’esterno entra in articolazione per inserirsi sul tubercolo glenoideo della scapola. La cuffia dei rotatori gioca quindi un ruolo determinante nell’equilibrio funzionale dell’articolazione fra omero e scapola (La “spalla” comunemente detta ). 

Tuttavia, è ormai noto quanto altrettanto importante sia il movimento che la scapola compie in armonia con l’omero, nel comporre ed accompagnare le varie azioni dell’articolazione. 

Tale complessità, unitamente ad una vascolarizzazione alquanto delicata del sopraspinoso ( “area critica” ) giustifica la frequente patologia di tale distretto, con possibile degenerazione fino ad una vera e propria rottura di uno o più tendini, solitamente per gradi, attraverso un processo cronico  che può evolvere drammaticamente in caso di ampie ed improvvise rotture od estensione di lesioni preesistenti in seguito a sforzi o traumi, anche di modesta entità.

Il riscontro clinico  va da un invalidante dolore notturno, fino ad una significativa limitazione funzionale, più o meno dolorosa, con possibile quadro di “pseudoparalisi” per l’entità della perdita di funzione.

 Quando la rottura della cuffia dei rotatori diventa sintomatica ( è possibile che si abbiano rotture a tutto spessore in assenza di sintomi significativi, trattabili con un buon programma riabilitativo ) è frequente la necessità di un intervento chirurgico di riparazione con una sutura dei tendini all’osso, sede della loro inserzione originale, o reciproca tra tendine e tendine, da realizzare in artroscopia dove la tipologia della lesione consigli il ricorso a tale metodica. 

 Il buon risultato della chirurgia della cuffia dei rotatori, comunque, non può prescindere da un buon programma riabilitativo, che parte dagli obiettivi primari ( graduale recupero della mobilità e della forza ) per arrivare al ripristino di quella complessa armonia di movimento sincronizzato che sta dietro ogni movimento della “spalla”, e che vede coinvolte ben 5 articolazioni contemporaneamente: Gleno-omerale, Scapolo-toracica, Acromio-clavicolare, Sterno clavicolare, arco Coraco-Acromiale.

  • Rottura della cuffia dei rotatori della spalla

Patologia assai frequente, trova la sua origine nell’entità della forza che si scarica sul I raggio del piede al momento dello “stacco”, nella fase propulsiva del passo.

 Nella maggiore parte dei casi, la causa di tale deformità non risiede nell’alluce che è solamente l’ultimo avamposto di interazione del nostro corpo con l’ambiente esterno, rappresentato dal suolo.

 Ogni forma di compenso di alterazioni assiali, rotazionali o torsionali lungo la direttrice dell’arto inferiore, a partire dalla lontana anca, se non adeguatamente compensata e corretta lungo il percorso verso il primo raggio, trova qui, nella fase finale del passo la resa dei conti con possibili risultanti in grado di produrre, passo dopo passo, la deformazione del I dito che una volta instauratasi, progredirà attraverso un circolo vizioso di accentuazione delle forze deformanti. 

E’ questa la ragione per cui negli anni sono state descritte numerose tecniche di correzione, proprio perchè nessuna tecnica è riuscita a ”risolvere” il problema alla base della sua origine, con percentuali variabili, ma sempre degne di considerazione, di tendenza alla recidiva della deformità dopo correzione chirurgica, anche se bene eseguita. 

Negli anni Il mondo scientifico ha cercato di capire fra le numerose variabili che possono concorrere al formarsi di un alluce valgo, sia intrinseche al piede che ad esso esterne quali possano maggiormente influenzare l’esito della chirurgia. 

Tra queste è emerso come maggiore fattore condizionante risulti essere il valgismo del retropiede, assetto in caduta verso l’interno del calcagno nella caviglia vista dal di dietro. 

Deformità assai variegata nella sua origine: congenita, acquisita, riguardante uno o più dita del piede, secondaria a fattori meccanici, strutturali o funzionali, neurologici, il “dito a martello” può coinvolgere una o più articolazioni contemporaneamente dello stesso dito, essere correggibile o rigido.

 A tale varietà di cause e forme, corrisponde una varietà di procedure volte alla correzione della deformità. Di frequente riscontro in associazione con l’alluce valgo, il dito a martello implica spesso il ricorso a tecniche complesse di resezione ossea, detensioni ( release ), allungamenti e plastiche dei tessuti periarticolari ( tendini, capsula, legamenti ) nella consapevolezza che il complesso equilibrio che governa il movimento delle dita del piede, nel momento in cui si instaura tale deformità, è da considerare definitivamente perduto, e quindi la correzione comporterà spesso un prezzo da pagare in termini di funzione. 

Il tornaconto di tale “sacrificio” sarà il recupero dell’estetica, l’eliminazione del dolore da conflitto con la calzatura, il dolore da sovraccarico della testa del metatarso sul suolo durante la deambulazione, con sicuro giovamento per il paziente.